lunedì 28 marzo 2011

Caspar David Friedrich, "Perché, mi son sovente domandato, scegli sì spesso a oggetto di pittura la morte..."


Volevo qui riportare due brevi considerazione di un artista tedesco per me molto importante:
Caspar David Friedrich

"L'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore,
il linguaggio di un animo infallibilmente puro.
Un'opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio.
Ogni autentica opera d'arte viene concepita in un'ora santa e partorita in un'ora felice,
spesso senza che lo stesso artista ne sia consapevole, per l'impulso interiore del cuore".


"Perché, mi son sovente domandato
scegli sì spesso a oggetto di pittura
la morte, la caducità, la tomba?
perché, per vivere in eterno
bisogna spesso abbandonarsi alla morte".

Caspar David Friedrich


Raniero

domenica 13 marzo 2011

Eros e Thanatos

Un aspetto importante, sicuramente legato al tema della morte, e presente nel mio lavoro è l'Eros.
"…… puoi arrivare a perderti
perdi tutto
i confini, il senso del tempo
due corpi possono unirsi a tal punto
che non sai più chi è chi e cosa è cosa
e quando la confusione raggiunge quell'intensità ti sembra di morire
e in un certo senso muori
e ti ritrovi da solo nel tuo corpo, separato, ma la persona che ami è ancora li
è un miracolo
Vai in paradiso e torni indietro da vivo
e puoi tornarci tutte le volte che vuoi con la persona che ami…
"

L'uomo bicentenario, USA, Germania 1999

La morte accomuna tutti gli essere viventi, specificatamente l’uomo, in una sorta di destino comune quasi come un’apertura tra individui che permette un’interazione. Ma non è l’unico, l’altro è l’atto sessuale (Eros).
Definito “petite mort”, esso non è sufficiente ad una sospensione illimitata dell’isolamento e della solitudine dell’essere, per la sua istantaneità: dopo il coito, i due individui tornano ad essere discontinui, e inoltre percepiscono l’abisso angoscioso dal quale sono fuoriusciti seppur momentaneamente, e lo percepiscono più vasto ancora.
Esso è attraente, attraente come la morte, in quanto
eros 1 essa si rivela all’uomo come momento di continuità, (in accordo con Schopenhauer) cui però dovrà sottrarsi regredendo alla discontinuità che gli è propria, in quanto vivo. L’attrazione è attesa e l’attesa diviene tensione, diviene paura, diviene angoscia. E per ovviare a questa tensione l’individuo si affanna a costellare la sua esistenza di tutta una serie di piccole morti, di esperienze che lo portino a vanificare, seppur per un momento, quella discontinuità che lo rende solo e che gli impedisce di comunicare con gli altri individui. Freud si accorse che la psiche non era solo governata da una pulsione (impulso incontrollato e primordiale) al piacere, ma anche da una pulsione distruttiva, una pulsione di morte e ne parla in particolare nel libro" Al di là del principio del piacere", pubblicato nel 1920.
La pulsione di vita, (l'eros), era affiancata da una pulsione di morte (thanatos); le due pulsioni sono presenti contemporaneamente, pulsione antagonista, in ogni uomo, in contrapposizione dialettica.
Eros 2  Giunge a questa conclusione attraverso l’osservazione clinica dei comportamenti caratterizzati dalla coazione a ripetere, nei quali cioé il soggetto ripete ossessivamente operazioni spiacevoli e dolorose, che riflettono, in modo più o meno mascherato, elementi di conflitti passati. Tali comportamenti sono in contaddizione con il principio del piacere, e quindi rendono necessario pensare ad un’altra pulsione, appunto quella di morte.
Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l’interno tendono all’autodistruzione, ma successivamente possono essere rivolte anche all’esterno e diventano pulsioni di aggressione e distruzione. Nella realtà psichica le pulsioni si presentano sempre come ambivalenti, caratterizzate dalla compresenza di questi due principi di vita e di morte: anche la sessualità presenterebbe, dunque, tale ambivalenza sotto forma di amore e di aggressività.
Le pulsioni di vita tendono a unire e legare gli uomini in comunità sempre più vaste, mentre la pulsione di morte sarebbe indirizzata a una riduzione completa delle tensioni presenti nell’essere vivente di tutti gli impulsi vitali, un’autopunizione derivante dall'impossibilità del piacere riportandolo idealmente alla pace propria dello stato inorganico.
L’associazione della “piccola morte” alla morte vera e propria coopera all’interno di quello scambio continuo tra vittima e boia che è fonte di eccitazione e fondamento della comunione tra gli individui.
Potremmo considerarla come la forza unificante di un amore travolgente ma qui anche è in gioco la disperazione data dalla consapevolezza della propria frammentarietà, della propria percepibile disuguaglianza, del distacco incolmabile che neanche situazioni portate all’estremo, come la morte o una sessualità sfrenata e perversa possono colmare (video snuff).
Tutto questo lo ritroviamo in un artista per me molto importante: Egon Schiele.
I suoi lavori sono permeati di angoscia, aggressività e disperazione. La sua ossessione è quella del conflitto col desiderio, un conflitto quasi adolescenziale, un continuo manifestarsi di sesso, colpa ed espiazione (tre temi dovuti alla morte del padre per sifilide e alla rigida morale vittoriana).
Il tema della punizione è evidente nei dipinti erotici, raffiguranti specialmente ragazze dedite all'autoerotismo, ma anche l'artista stesso mentre si masturba, tto di desolazione e sofferenza.


Raniero

martedì 8 marzo 2011

Schopenhauer, "la morte è una vicenda interna della vita, essa appartiene alla vita immortale della natura" parte 3

«A parte poche eccezioni,al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. È un affare che non copre le spese» (Arthur Schopenhauer, aforisma)
Il tema della morte in Schopenhauer è orientato in una direzione diversa.
L'atteggiamento quotidiano nei confronti della morte viene preso come una sorta di filo conduttore che contiene indizi ricchi di senso. Esso oscilla tra noncuranza e terrore. Di questi stati affettivi Schopenhauer propone una notevole spiegazione psicologico-metafisica. La morte incombe su ciascun individuo come un evento che può intervenire in ogni istante in modo più o meno inatteso, più o meno fortuito. Eppure ciascuno, nella misura del possibile, vive lietamente «come se la morte non ci fosse» (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1985, p. 324). Non appena ci si trova realmente faccia a faccia con la morte o anche soltanto ci si immagina di esserlo, a questa noncuranza subentra il terrore di essa: l'individuo cerca allora con ogni mezzo di fuggirla. Certamente Schopenhauer rifiuterebbe di collegare noncuranza e terrore come se la prima fosse un modo di reagire e di rimuovere questo terrore sempre incombente, quindi come se vi fosse tra entrambi un nesso puramente psicologico; e nemmeno accetterebbe una spiegazione razionale, come se cioè la noncuranza fosse il risultato di una riflessione e di un ragionamento implicito sull'ineluttabilità della morte. Si tratta piuttosto di scoprire le radici metafisiche di questi sentimenti che rimandano all'essenza del reale che è volontà e nello stesso tempo al superamento del momento empirico-fenomenico. Nel terrore di fronte alla morte parla in realtà la voce stessa della natura, intesa come concretizzazione della volontà che è essenzialmente volontà di vivere. E proprio questo sentimento attesta che :
«tutto il nostro essere in se stesso è già volontà di vita, a cui questa deve valere come il sommo bene, per quanto amareggiata, breve ed incerta essa sia» (Supplementi, II, XLI, p. 482).
E poiché la volontà non è affatto distribuita e spezzettata fra gli individui, ma è presente nella sua totalità in ciascun individuo, allora si comprende che l'orrore della morte è orrore che il principio metafisico stesso manifesta di fronte all'idea della propria autodistruzione.
«Nel linguaggio della natura la morte significa annientamento» (ivi, p. 481) ed è significativo che l'annientamento sia anzitutto annientamento del corpo che è «oggettivazione immediata della volontà».
Ma anche la noncuranza è, alle sue radifici, noncuranza della natura: la morte - dice Schopenhauer
«dissipa l'illusione che separa la coscienza individuale da quella universale» ( M 324), ricongiungendo la mia vita alla totalità vivente del mondo. Ed allora possiamo veramente essere noncuranti della morte, e in un senso profondo, che può arrivare alla piena consapevolezza dell'intramontabilità del presente che è anche l'intramontabilità della vita. Il presente è allora paragonabile ad un
«eterno mezzogiorno al quale non mai succede la sera, o come il vero sole che arde ininterrottamente benché sembri tuffarsi nel seno della notte» (Mondo, 1985, p. 324).
Sullo sfondo di ciò vi è certamente sempre il pensiero dell'effimero. Ma questo deve essere pensato attraverso l'idea di una ricongiunzione con la totalità da cui l'individualità è stata scissa per entrare nel vortice di un mondo che è mera apparenza. In questa totalità la morte è, non meno della nascita, una vicenda interna della vita, essa appartiene alla vita immortale della natura (Mondo, 1985, § 54, p. 317). Questa vitalità della natura ha nel ciclo corporeo il proprio modello elementare: in esso vi è acquisizione ed espulsione di materia e tra acquisizione ed espulsione generazione continua di cellule vitali.E così nello sviluppo della pianta la foglie e i fiori caduti a terra rappresenteranno il suo concime. La «fresca esistenza» di ciascuno è «pagata con la vecchiezza e la morte di un defunto, il quale è perito, ma che conteneva il germe indistruttibile dal quale è nato questo nuovo essere: essi sono un essere solo» (Supplementi, 1986, II, XLI, p. 521).


Arthur Schopenhauer


Raniero