Raniero è innanzitutto un uomo, con le sue passioni, i suoi ideali, sogni e delusioni. È una persona pacata ma risoluta, capace di “urlare” tutto un mondo di stati d’animo, ma sottovoce. | ||
Ad un primo colpo d’occhio, la tensione erotica che si sprigiona dai corpi nudi e costretti dalle corde delle due donne sembra essere il motore principale delle opere; Raniero asseconda il voyeurismo dello spettatore, si delizia nel delineare le morbide curve del corpo femminile, i cui sensuali dettagli sono spesso oggetto della sua attenzione artistica vedi pure "Morso al buio". “I disegni hanno un impatto dal punto di vista erotico e dal punto di vista del pensiero” spiega Raniero, “chi si ferma al primo, si ferma all’aspetto figurativo e non al simbolo”.Ecco dunque lo “stereotipo”: lo Shibari, meglio noto come Kinbaku è un’antica forma artistica di legatura giapponese che racchiude in sé molti stili ed utilizzi, e fa riferimento ad altre forme artistiche tradizionali giapponesi come Ikebana, Sumi-e (pittura con inchiostro nero) e Chanoyu (cerimonia del tè). Tra i vari utilizzi dello Shibari si possono citare: | ||
scultura vivente dinamica, pratica meditativa condivisa, rilassamento profondo per la flessibilità del corpo e della mente. Nello Shibari il Nawashi (artista della corda, ossia colui che esegue la legatura) esegue disegni e forme geometriche che creano un meraviglioso contrasto con le curve naturali ed i recessi del corpo femminile. La consistenza e la tensione delle corde creano un contrasto visivo con la pelle liscia e le curve, sottolineando la morbidezza delle forme corporee. La modella diventa come una tela, e la corda è il colore ed il pennello. Questo contrasto viene ulteriormente enfatizzato dall’utilizzo di modelle dalle forme giunoniche, le cui curve generose compresse dalle corde creano forme e giochi di luci ed ombre ancora più evidenti. Chiaramente questa pratica ha un risvolto erotico e, soprattutto in Occidente, è stato recepito come quasi esclusivamente come quell’insieme di quelle pratiche sessuali | ||
di costrizione fisica ai soli fini di eccitare il pubblico. Raniero va oltre, come dicevamo, la recezione puramente sessuale di quest’arte, e ne sfrutta le potenzialità spettacolari per attirare il nostro sguardo e portarci a riflettere su cosa quelle corde, quelle donne costrette in catene – che troviamo anche in altri lavori come possiamo vedere qui a fianco "Siamo tutti prigionieri" - vogliono comunicarci. La parola d’ordine è: costrizione. Fisica e mentale, e radicata nell’animo, in profondità. La costrizione comune all’intero genere umano, teso verso il desiderio di abbandonarsi alle passioni e agli istinti e dall’altra parte dalla necessità di reprimerli, tra la volontà di dare libero sfogo alla propria indole e il piegarsi ai doveri – e su questo punto ricordiamo i cenni biografici dello stesso Raniero che intraprese gli studi ed il lavoro di ingegnere, | ||
ma che nel 2007 diplomandosi al Modigliani ha dato il via a una sorta di “rinascita esistenziale" la volontà artistica era sempre lì, latente, costretta a rimanere sottopelle, ma la “gabbia” è stata aperta ed è iniziata l’avventura artistica. Alcune “corde”, alcuni nodi permangono ancora, ed è a questi che dà voce attraverso le immagini-simboli che abbiamo visto. per quanto riguarda le opere esposte in occasione di questa mostra, al di sotto della piacevole interfaccia lo sguardo malinconico e la rete che fa da sfondo a Scarpette rosse e la posizione di spalle di Corde 1 ci fanno presentire e riflettere su una situazione che, certo, non sembra desiderata dai soggetti che la subiscono. Il gioco duale tra costrizione ed erotismo si trova anche in un grande artista giapponese contemporaneo: | ||
Nobuyoshi Araki, alcuni esempi di opere qui a fianco, classe 1940, è sicuramente molto provocatorio nei suoi scatti, e non nasconde che suo scopo è anche quello di esprimere la sensazione del contatto con il corpo femminile. Araki scatta, tra il 1979 e il 1983 una serie di foto intitolate Bondage. “Tecnicamente parlando, il bondage è una pratica sessuale che incapsula il corpo in maniera più o meno costrittiva e con elementi di diverso tipo, dalle corde alle catene a corsetti di pelle molto fetish, | ||
così da esercitare sulla vittima un controllo quasi assoluto, una coercizione fisica che la esponga a qualsiasi genere di sacrilegio, di crudeltà” (Fabbri, p. 107).In questo modo non può che ricordarci molte pratiche di Body Art di fine anno 60 e anche gli oggetti impacchettati da Christò. Nel caso di Araki però il “già fatto” che viene impacchettato, legato, sono persone,che mediante queste pratiche banalizzano, stereotipizzano delle estremizzazioni sessuali. Anche in questo caso però, l’artista va oltre, sveste i panni del morboso documentarista di perversioni per indossare quelli del ritrattista | ||
di corpi straniati. La solitudine dei corpi, i volti spesso contriti, non possono che farci provare, a un certo punto, la pietà che si prova per l’animale preso in trappola. Non a caso Araki fa un altro scatto che, a prima vista, col bondage sembra c’entrare poco: nell'opera qui a fianco riportata uno scorcio di città attraversata dai fili del tram, non sembra anch’essa legata da questi fili? Quasi soffocata dai mezzi della modernità? | ||
Un altro particolare interessante lo troviamo in "Scarpette rosse", ed è già il titolo a indicarcelo: queste scarpe rosse spiccano nel disegno realizzato totalmente in matita. Esse richiamano la passione, l’eros, ma anche la condizione femminile obbligata a un’esibita sensualità, forse ultima possibilità di sentirsi accettata, unico modo vano per evitare la solitudine. Questo tema viene largamente trattato da una giovane artista, Valeria Agostinelli, vediamo alcune opere qui a fianco, nelle quali ricorrono, come soggetto prediletto, le scarpette rosse, spesso calzate da gambe magre e lunghe; esse sono simbolo della fragilità femminile di fronte alla violenza insita nella vita, di una remissività nei confronti della volontà di possesso maschile, vi è una “attrazione-repulsione per un destino segnato, che fa loro offrire l’invito erotico di una "scarpa rossa”. | ||
Abbiamo visto quindi come l’Oriente, con il suo scoperto erotismo, nascosto ed esibito allo stesso tempo, abbia influenzato anche l’immaginario occidentale, portando a interpretare, a dare volto e corpo ai disagi e alle oppressioni del genere umano. Raniero lo coglie, lo fa suo, in un percorso inverso che, dal mondo digitale di cui faceva parte, lo porta a una riscoperta artigianalità, all’uso di tecniche classiche, “il significato” spiega Raniero, | ||
"insieme alle tecniche mi danno modo di dire qualcosa . . . quella cosa prima di essere vista è stata vissuta, toccata e ritoccata, pensata, prodotta e infine mostrata". | ||
domenica 6 maggio 2012
Presentazione di Giulia Gamba a "Ponte ad Oriente"
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